L’avvicinarsi del 9 Maggio m’impone di meditare sulla
vicenda umana e politica di Aldo Moro.
Un politico di altissimo spessore, un uomo di Stato a
servizio del popolo e della democrazia.L’uomo delle convergenze parallele,
dello scomporre per ricomporre, della strategia dell’attenzione, del confronto,
della terza fase; il migliore di tutti che è costretto a pagare per tutti.
Non si tratta di una rituale commemorazione anch’essa
doverosa, quanto rivisitare la sua azione politica attraverso i suoi scritti, i suoi discorsi, le opere
realizzate nel contesto temporale per una riflessione rispetto ai tempi nostri.
La mattina del 16 Marzo 1978 Aldo Moro, presidente del Consiglio Nazionale
della DC, sta andando in Parlamento dove è in programma il dibattito sul nuovo
governo, quello della solidarietà nazionale, con il Partito Comunista per la
prima volta nella maggioranza. Un governo che lui ha voluto convincendo i
parlamentari democratici pochi giorni prima in una storica riunione. In via
Fani, alle ore 9,02 l’agguato: i cinque uomini della scorta sono uccisi, Aldo
Moro rapito dalle Brigate Rosse. Il suo corpo viene fatto ritrovare il 9
Maggio, nel bagagliaio di un’auto in via Caetani, sempre a Roma. Si conclude
così tragicamente la vicenda umana di Aldo Moro. Ho detto prima dell’incontro
con i parlamentari DC del 28 Febbraio 1978, fu rapito due settimane dopo, a
seguito di un sentire di fronda all’interno della DC, chiamata a votare la
fiducia al Governo Andreotti, governo sostenuto dal PCI e per questo chiamato
di solidarietà nazionale. Qui appare la grande capacità di persuasione di Aldo
Moro ancorata ad un’analisi attenta e profonda della realtà politica del
momento. Una situazione per alcuni versi analoga all’attuale momento politico
che attraversiamo. Due forze politiche antiteche che si sono combattute per un
bel po’ di tempo ma che il bene del Paese chiama alla collaborazione. “ Siamo
davanti ad una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di
fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non
servono più; è necessario adoperare qualche altro strumento, guardare le cose
con grande impegno, con grande coraggio......Perciò abbiamo avuto una vittoria;
siamo in due vincitori, e due vincitori in una sola battaglia creano certamente
dei problemi..... Questa era la situazione cui avremmo dovuto rispondere,
secondo una logica ristretta, con nuove elezioni. Non l’abbiamo fatto, non
abbiamo tentato di farlo, credo, concordemente, per rispetto del Paese con i
suoi problemi accresciuti di importanza e di gravità di momento in momento....
Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo
domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile;
oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere
coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è
stato dato con tutte le sue difficoltà.....E’ vero quel che io ho detto, che se
dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme; se dovessimo riuscire, ah certo,
sarebbe estremamente bello riuscire insieme, ma essere sempre insieme”. Mino
Martinazzoli nel ricordarlo a maggio del 2008, a trent’anni dalla
sua morte, scriveva: “ Oggi, la sua memoria è vittima del niente della politica,
della superstizione del potere, dell’inettitudine umana delle procedure
democratiche cui difetta il valore della partecipazione e delle responsabilità
diffuse. Ma dovremmo sapere che la sua vita e la sua morte hanno ancora diritto
al dovere della Storia. A trent’anni dal suo silenzio, bisognerebbe ricordarlo
così, ridando voce alla sua inquietudine, alla sua passione di democratico e di
cristiano”. Un serio giornalista laico, Vittorio Gorresio, scrisse su Epoca un
articolo intitolato: Moro, una politica sempre pensata in anticipo sui tempi. “
Sembrava triste, incapace di guizzi allegri, di estri improvvisi, del genere di
quelli che alcuni uomini di Stato, anche DC, pensavano utili e profittevoli
alla popolarità: ma il fatto è che Moro era assai meglio. Non era un uomo
tetro, ma serio; non era assorto o smorto, ma attento; non era scontroso, ma
riservato. Sommessamente si può dire che l’Italia aveva effettivamente bisogno
di un uomo serio, anche se la serietà può essere scambiata in Italia per
malinconia e per tristezza. Moro detestava l’approssimazione, la tendenza al
generico che contrassegnava tanti suoi colleghi nella vita pubblica”.
L’attenzione per i giovani non è mai venuta meno nell’azione e nel pensiero
politico di Moro, memorabile il discorso del novembre ’68 al Consiglio
Nazionale della DC. “ Tempi nuovi si
annunciano e avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle
rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni d’insufficiente dignità e
d’insufficiente potere non siano oltre tollerabili; l’ampliarsi del quadro
delle attese e delle speranze dell’intera umanità, la visione del diritto degli
altri, dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i
giovani, sentendosi a un punto nodale della storia, non si riconoscono nella
società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi
cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità”. E’ in
questo contesto che Moro chiama il Paese alle proprie responsabilità: “ Questo
Paese non si salverà, la grande stagione dei diritti risulterà effimera, se non
nascerà in Italia un nuovo senso del dovere”. Moro presagiva i m omenti
difficili della Repubblica Italiana, quelli che fra l’altro stiamo vivendo e
nell’ultima lettera alla moglie Eleonora scriveva: “ Vorrei capire, con i miei
piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se vi fosse luce sarebbe
bellissimo”.
Gianni Colagrande